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  FRANCESCA SANGALLI
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isolamento in montagna 4

3/20/2020

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ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO QUATTRO
E mentre è ufficiale che per altri dieci giorni e forse di più ognuno deve stare fermo dov’è (e staremo chiaramente qui), le scuole iniziano a organizzare le lezioni da remoto: sono previste lezioni online per i figli, che devono essere messi nelle condizioni di seguirle, mentre i genitori, se insegnano, dovranno impartirle. Dunque: con un computer mio figlio seguirà le lezioni mentre la mamma e il papà registreranno le lezioni online in diretta. Non che io voglia essere antitecnologica, ma la situazione è che le pareti qui non sono studiate per essere proprio spesse e mio figlio non è ancora autonomo con il tablet, o meglio è molto autonomo, infatti appena si annoia con l’inglese mette i Pokémon, con il brillante risultato che a fine serata ha studiato le tre evoluzioni di Pikachu e le sa perfettamente.  
Io intanto cerco di fare una prova.  La cosa a cui non posso fare fronte è che lo studio è accanto al bagno e lo sciacquone è a manovella. In più abbiamo tre gatti che mangiano tantissimo e la sabbietta va pulita ogni volta, onde evitare che preferiscano il tappeto. 
E, mentre sto per riprendere la lezione ideale, mia mamma smonta di nuovo la stufa a pellet per aspirare la cenere da fornelletto carbonizzato. Prova generale: come reagirò all’imprevedibile in caso di diretta? 
Intanto il coronavirus imperversa, i musei sono aperti ma bisogna mantenere la distanza di sicurezza di un metro e ottantacinque centimetri tra uno e l’altro e di cinquecento metri se l’altro starnutisce. Dopo l’assalto alla pasta e l’acquisto compulsivo di mascherine, io intanto considero che sia una buona idea, oltre al gatto, adottare una capra e una gallina... È un ritorno alle origini?
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isolamento in montagna 3

3/19/2020

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ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO TRE 
Oggi il virus era improvvisamente uno scherzo. I giornalisti chiedono di abbassare i toni e di stare tranquilli che tutto passerà presto. Sgraniamo gli occhi perplessi ma restiamo fermi dove siamo. Ricapitolando, avevamo due gatti, adesso ne è arrivato uno nuovo: tutti parlamentano sul nuovo gatto che dovrebbe aggiungersi alla famiglia. Mio padre si chiede: “Cosa facciamo, c’è la neve, fa freddo… devo lasciarlo fuori? Perché mi guarda, perché miagola, perché alza la coda?” E, mentre dice che non vuole altri gatti, lo sta già pettinando, accomodandolo sulla poltrona del salotto. Mia madre sentenzia: “Viviamo alla giornata”, e mio figlio si propone di diventare una guida per gatti. Non so che professione sia, ma io approvo chi in questi tempi di crisi sa inventare un nuovo mestiere.
La televisione è accesa sul coronavirus h 24, il focus è sugli ospedali: intervistano dei medici, dei ricercatori, molti opinionisti e anche gente comune. Pare che i matti del reparto di quel policlinico abbiano chiesto a medici e infermieri di vestirsi e truccarsi bene per essere di bella presenza, nella speranza di essere intervistati. Ed è proprio a loro che sto pensando mentre ascolto le opinioni in televisione. A quando arriva l’ora della terapia. 
Mio figlio ha la sua fase “imito Mentana, imito Lilli Gruber, imito il tiggì uno, due e tre”, e si aggira dicendo cose e traducendo le stesse espressioni e la stessa confusione che viviamo noi. Sembra in perfetta sintonia con le informazioni appena ricevute dal catodico di montagna. Che spegniamo. 
Cominciano a terminare le riserve di Moment Act per l’emicrania. Mi serve dell’ibuprofene subito… succede quando avevi progettato di andare in montagna con la tua famiglia per scrivere un po’ e respirare aria pulita senza sapere che sarebbe esplosa un’epidemia. 

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ISOLAMENTO IN MONTAGNA 2

3/18/2020

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ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO DUE 
Psicosi collettiva. Una mascherina costa quasi cento euro: si disputa se sia meglio Burioni o “quella del Sacco”, anche giù dal panettiere ci sono pareri diversi. Oggi giù in città è stato preso d’assalto il reparto pasta del supermercato. Noi in montagna abbiamo preferito assicurarci i vaccini: stagionati, freschi, caciotte affumicate, erborinati d’alpe, latteria, formaggi di malga. Mangiamo quintali di prodotti caseari, mi sento appesantita, a casa assaggio vagamente qualche scaglia di grana, qui ho dato l’assalto alla gastronomia rustica della latteria del luogo. Mio figlio ha nutrito un gatto che è passato a trovarci e che si è fermato davanti alla porta a vetri, si è affezionato al suddetto felino e ha chiesto di tenerlo. 
Mia mamma ha risposto di no perché ne abbiamo già due e, nella stessa frase, senza soluzione di continuità, con la coerenza che la contraddistingue, gli ha chiesto come lo voleva chiamare. 
“Marrali”, ha risposto mio figlio.
Silenzio. A questo punto la mente scientifico-logica materna ha avuto una reazione nervosa, una forma di rifiuto isterico perché non capiva cosa volesse dire “Marrali”. 
"Non puoi dargli un nome che non vuol dire niente!”, ha ribattuto mia mamma assennatamente.
Il figlio ha spiegato con calma tutti gli infiniti significati che nella sua mente di pianista in erba sono andati a comporre quel nome: “MARRALI: MARR perché è marrone, e ALI perché... così... quindi MIRÒ + MARRONE + ALI = MARRALI!”
E mia mamma: “Ma no, ma non è un nome!”. 
Mio figlio ha insistito: “Allora lo chiamiamo SIGNOR MARRALI, così è un cognome!” 
Mia mamma: “No, al massimo lo chiamiamo CESARE. E comunque non lo prendiamo, adesso dagli da mangiare.”
Ernesto, dopo che mia mamma è uscita, ha chiosato: “Tanto, mamma, domani lo facciamo entrare di sicuro...”
Benvenuto SIGNOR CESARE MARRALI! 
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ISOLAMENTO IN MONTAGNA

3/17/2020

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Piccola premessa
Questa storia inizia molti giorni fa: siamo saliti in montagna per le feste di Carnevale. Nelle ore notturne tengo spesso un diario e così sono rimasta impigliata anche io nel racconto della quarantena, quasi per caso, come molti. Ho notato che mi serviva rileggerlo anche per ricostruire un rapporto con il tempo e non perdere il filo delle giornate, guardando anche come avvenivano e come venivano percepite le notizie in diretta e che tipo di cambiamento intimo e pubblico ci sia stato. 
Così, in attesa del ritorno a casa o in attesa del ritorno alla vita di prima, condivido, per chi ha piacere di leggerlo, quello che è accaduto a partire da due settimane fa. 


ISOLAMENTO IN MONTAGNA - GIORNO UNO
Siamo qui già da una settimana e qualche giorno, ma da poco abbiamo capito che ci resteremo, perché in città imperversa il coronavirus, le scuole sono chiuse per precauzione è meglio evitare troppi spostamenti. Oggi i toni sono drammatici e allo stesso tempo sotterraneamente, mentre si prospetta una nuova Spagnola, mentre si ricordano le misure della Sars, si fa dell’inconsapevole ironia, poi però appena qualcuno tossisce viene guardato con orrore. Tutto questo accade in televisione, ci diciamo, e dubbiosamente ci riserviamo un tempo per pensare se si rimetterà in sesto a breve. Intanto stiamo qui e qui, in qualche modo ci sentiamo di non fare male a nessuno. Siamo al sicuro? Tempo per leggere e meditare?
Scrivere con tutti intorno è un caos. Tutti si ripetono le cose urlando almeno sei volte perché ognuno di noi parte a turno per il viaggio nel suo iperspazio mentale. Mia mamma si uccide di fatica e devi rincorrerla mentre smonta col cacciavite la stufa a pellet e la ripulisce con l’aspirapolvere. È sdraiata con la schiena sul pavimento freddo, sta lucidando un vetro che diventerà nero alla prima accensione, ma non puoi non aiutarla perché il senso di colpa ti ucciderebbe. Poi accendi la stufa e fissi il vetro che si annerisce. 
Il marito parla a voce altissima in inglese, è in collegamento con la Finlandia dove forse lavora a qualcosa di incomprensibilmente informatico. Naturalmente qui siamo in montagna, la connessione Skype si sente male e lui impreca contro Tim, Wind, Tre, Eolo e Zeus.
Mio figlio è un capolavoro, anche senza bisogno del triciclo, si aggira come in Shining per il corridoio e ripete le parole del papà: “merda, merda, merda”. 

“Merda, merda, merda!” is the new REDRUM. 


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la fragilità di una milano che si credeva invincibile

2/28/2020

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(Articolo di Riccardo Rossetti)
Mi limito a contemplare la realtà che mi circonda avvalendomi del mio spirito di osservazione e della mia ironia. La mia opinione è del tutto irrilevante e vale tanto quanto quella di un qualsiasi privato cittadino. Non ho la verità in tasca e del torto o la ragione poco mi importa.
Ma, come milanese, il panorama sociale emerso nella nostra città e nel resto d’Italia in questi giorni di virale isteria mi ha lasciato l’amaro in bocca.

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https://www.linkedin.com/pulse/la-fragilit%C3%A0-di-una-milano-che-si-credeva-invincibile-rossetti/
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IL VIAGGIO DI NOZZE

2/10/2020

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1946 viaggio di nozze in montagna. Mai stata in montagna. Io che, arrivata dalla città fresca di matrimonio, giravo con i sandali rossi per i sentieri fangosi di Madonna dei Monti. Ti porto da me in Valtellina, mi aveva detto. Era come un pazzo. Il Franco aveva finito la guerra con la faccia rotta da un proiettile, senza più denti e si era fatto quindici esami di ingegneria in un solo anno. Non puoi sposarti finché non sei laureato. Così aveva detto il nonno Alfredo, suo padre. E poi io ero già laureata. Prima di lui. E così il Franco studiava tutta la notte, aiutato da robuste dosi di simpamina. Ricordo che la luce sulla scrivania doveva illuminare solo il rettangolo del libro, non una cosa di più, non un particolare di più. Di notte al buio non si distraeva perché fuori dai limiti del foglio c'era il buio.​
E poi appena sposati mi porta subito su per la montagna. E io non ci ero mai stata. Vedrai Tin, ti porto a fare le tredici cime. Io lo seguivo con i sandali rossi su per la montagna per arrivare a casa del Don Biagio che ci aspettava, lo seguivo di notte su per il bosco. Il don Biagio che ci viene incontro con la lanterna. I miei piedi nei sandali rossi.
Avrei dovuto capirlo.
Allora abbiamo fatto la vacanza a Madonna dei Monti. Eravamo saliti in quota, il Franco, il Don Biagio ed io: gli scarponi li avevo finalmente comprati. Stavamo davvero facendo il giro  delle tredici cime come si chiamano quelle dal Tresero al Cevedale pernottando per rifugi. Siamo arrivati sotto alla capanna Vioz dove c'è il ghiacciaio che va giù così, dritto così, come uno scivolo, così. Eravamo nella nebbia e ci siamo persi. Non ci si vedeva niente e continuavamo a camminare: invece di andare in su siamo andati verso la lingua di ghiaccio che viene in giù, s'incurva sai il ghiacciaio come fa, lo sai? Che va verso lo strapiombo nella nebbia e noi tutti e tre verso lo strapiombo. E noi che vagavamo senza orientarci più. Eravamo già alle undici di sera quando arriva una tempesta con tuoni e fulmini, e noi eravamo ancora lì, intrappolati da questo ghiaccio, bianco sopra, bianco davanti, bianco anche a guardare al cielo, una roba mai vista.
Con il nonno e don Biagio, sì, anche loro non sapevano cosa fare. Uno voleva fare una cosa, l'altro ne voleva fare un'altra. Andiamo verso su, no andiamo da questa parte vedo qualcosa. Qualcosa cosa? Se vedeva gnent! Era agosto, è arrivato il temporale, eravamo nella nuvola, bianca l'aria bianco per terra non ci vedevamo nulla. Abbiamo perso l'orientamento, il Franco ha visto una di quelle casematte della prima guerra mondiale, sai, lì, le casermette. Casermette. Così le chiamavano. Casematte. Sono delle costruzioni di sassi a prova di bomba. Certo ma quella lì, poi, la bomba doveva averla presa e non doveva aver superata la prova: era senza tetto né porta né c'era un po' di legno, che uno potesse immaginarsi un fuoco magari arrangiato. Era notte. Il Franco voleva fermarsi. Don Biagio, no. Don Biagio ha iniziato a urlare, aiutooo, aiutoo... e ha fatto bene lui, senza pudore, cosa facevamo nella casamatta senza tetto sul ghiacciaio tutta una notte? E' freddo il ghiacciaio. Quelli del rifugio sopra sono usciti fuori subito, hanno sentito le urla, sono usciti con le lanterne a petrolio, il Franco e Don Biagio hanno visto le luci e hanno capito che il rifugio era poco più su. Mi hanno presa per mano. E così sono riusciti a raggiungere il rifugio.
​Io pensavo di morire. E pensare che era il mio viaggio di nozze. Aveva ragione don Biagio, bisognava urlare.

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DIRITTI E ROVESCI... DRITTO E ROVESCIO

11/15/2019

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              Donne diritti e rovesci
            – Tennis dritti e rovesci – 


La protagonista della storia “L'imprevedibile movimento dei sogni” è una tennista, Isabella, che si trova improvvisamente a terra. Tutte le sue aspettative infrante, i suoi sogni ribaltati, rimessi in discussione, la sua vita da ripensare.
Visto il titolo dell'evento, appunto “donne diritti e rovesci”, ed essendo il tennis uno dei temi centrali del romanzo, sono andata con la mente ad allacciare questi concetti, apparentemente legati solo da un'assonanza di parole. Facendolo si è creato in me un cortocircuito: ho iniziato a cercare indizi e conferme alla mia intuizione. Ho quindi intervistato un tennista e con lui ho lasciato scorrere nessi e analogie. Metafore e azzardi teorici. 
I diritti delle donne dovrebbero essere intuitivi, sono lì, alla luce del sole; perché non sia così facile vederli è questione di secoli di cultura, ma dentro di noi li possediamo, dobbiamo metterli in evidenza, anche se in realtà, sono già certi, come il dritto nel tennis. 
Tutto è lì, predisposto perché si possa rispondere ai colpi della vita senza troppi stratagemmi: di pura potenza, con lo slice dall'alto verso il basso, di piatto, con un topspin dal basso verso l'alto o una improvvisa smorzata. Senza entrare nello specifico possiamo dedurre soltanto che tutto ciò che riguarda il dritto è gestito in libertà: è un messaggio diretto per il corpo e la mente, per le connessioni neuronali. L'intervistato mi diceva che apprendere il dritto è un fatto immediato anche per i bambini; è invece sul rovescio che si lavora maggiormente con la tecnica e lo studio, in quanto rappresenta un passaggio più delicato e meditato che, pertanto, richiede una maggiore opera di mediazione da parte del maestro. Spesso ai bambini viene insegnato a rispondere con il rovescio a due mani agli improvvisi rovesci del campo. Questa scelta viene fatta per compensare alla scarsa forza che hanno da piccoli: per far fronte alla propria debolezza si appoggiano alla mano sinistra. Certo, sono meno liberi nel loro raggio di azione: non si può con due mani fare un back, è difficile raggiungere una palla da tennis troppo lontana e così via. Con il tempo, l’esperienza, l'acquisita sicurezza, si dovrebbe cercare di slegarsi, rompere i propri schemi e spingersi verso il rovescio a una mano sola, così da essere autonomi, fantasiosi, creativi, avere più strumenti per sorprendere l’avversario.
Il rovescio è, per me, nella sua essenza, controintuitivo.
Andando avanti a connettere i pensieri l'uno all'altro, mi viene da dire che anche per noi donne è più complesso trovare la risposta all'avversità durante un rovescio umorale, sentimentale, economico, esistenziale, sociale e quant'altro: è materia delicata, richiede molta preparazione, capacità di agire profondamente nella realtà, trovare la via d'uscita attraverso l'impegno maturato con l'esperienza e lo studio. Dobbiamo impegnarci doppiamente per conoscere a fondo i nostri punti deboli e le nostre abilità. La strategia può permetterci di trovare la via d'uscita a un rovescio della vita. Noi donne ci dobbiamo strutturare fin da piccole e allenarci a fondo, avere buone maestre, coltivare delle sincere amicizie, portare avanti non solo la difesa dei nostri più elementari diritti, ma anche attrezzarci filosoficamente per rispondere alle avversità: applicarci il più possibile per non farci trovare troppo sguarnite. A volte non abbiamo pensato a come difenderci e guardiamo fuori da noi o implodiamo in noi stesse, nella solitudine di una colpa che ci autoinfliggiamo. Laddove siamo travolte dalla debolezza non è vergogna affidarsi a un'altra mano ed è come nel rovescio del tennis: due mani sono più forti! Costituiscono un'alleanza, un primo passo che ci permette di rafforzare la tecnica, di muoverci in un futuro di autonomia che rimandi la nostra influenza, la nostra creatività, la nostra capacità deduttiva a tutto quel mondo che ci circonda e che non può che arricchirsi grazie alla nostra affermazione su di esso.
È per questo che, tornando al romanzo, Isabella trova la risposta alla caduta verticale sul campo, nell’amicizia.

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La NONNA NUCLEARE

7/27/2019

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Non poteva esserci miglior occasione della rubrica RAGAZZE ELETTRICHE di Elle, per raccontare un po' la nonna Ernestina .
E far stare mia nonna in 2500 battute è stata un'esperienza ardua! Conservo le prove nella scrivania del computer. Rivedo i file e mi raccontano da soli una storia: "nonna3600", "nonna2900" "nonna3150", "nonna2600cisiamo", infine un durissimo "nonna2500&frasi". Perché quella di Ernestina Fiocca è stata un'esistenza gigantesca, perché estrapolarne una sintesi capace di arrivare dritta al punto, senza schiacciarla o sacrificare troppo le sfaccettature, è stata una bella ricerca. Stavo provando a trovare un equilibrio adattando la respirazione alle diverse quote: 3600... 2900... 3150... a rivedere quei file mi sembrava di aver conquistato una cima, poi di essere ridiscesa, di essermi diretta verso un sentiero di cresta senza trovare mai il picco adeguato.
Volevo solo raccontarti, nonna, anche se tu eri molto riservata; volevo scoprirti un pochino ai lettori, di modo che avessero accesso a ciò che conservo di te nella memoria, portandoli un nei mondi e negli spazi che  abbiamo conosciuto insieme. Non era forse questo quello che tu sapevi fare con la tua cultura e i tuoi colori indimenticabili? Insomma io ci ho provato e, tutto sommato, il tuo ritratto mi sembra azzeccato. Spero ne sarai contenta!
...
Nella foto... quella che gioca con una spugna a forma di fetta di melone sono io, l'altro è mio cugino Alberto. Io, quella spugna, la amavo così tanto che me la portavo anche a tavola. Non si sa perché! Misteri dell'infanzia.  
Comunque lo specchietto con la mia foto, illeggibile qui sotto, dice che ho 39 anni (Non ancora...) scrittrice (Vero) e che con Fabrizio Bozzetti ho pubblicato "l'imprevedibile movimento dei sogni" DeA Planeta
http://bit.ly/LImprevedibileMovimentoDeiSogni 

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IL MULO DIVENTA SPETTACOLO!

9/17/2018

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Tratto dall'omonimo romanzo di FRANCESCA SANGALLI, da un'idea di  MOMÒ MONICA ALLIEVI

E se tutta la grande guerra ce la raccontasse un animale, uno di quelli impiegati in prima linea, coi suoi occhi i suoi pensieri e la sua estraneità alle ragioni degli uomini?
Questa è una storia di guerra ghiaccio e neve, ma soprattutto una storia d’amore e amicizia tra un mulo e un giovane ufficiale alpino.
Due attori si muovono in una scena essenziale interpretando il mulo Biagio e l’alpino Federico (detto Chicco) e si raccontano in tre momenti fondamentali per il loro rapporto. (...)
La compagnia 4gatti, che lavora con e per i bimbi da oltre vent’anni, sperimentando diversi linguaggi che vanno dal teatro di figura alla narrazione, strizzando sempre un occhio alla clownerie, ha scelto di mettere in scena il bellissimo racconto di Francesca Sangalli, indirizzandolo ai bambini dagli otto anni in su. L’autrice ha saputo cogliere l’essenza del mulo e trasformare i suoi pensieri in parole con l’utilizzo di un linguaggio particolare che rende questo personaggio vicinissimo al pubblico dell’infanzia.
Da sempre, i clown si rifanno al mondo dei bambini e degli animali perché i loro pensieri sono semplici e non obbediscono alle leggi a volte assurde che dominano il mondo degli adulti.

Leggi di più...

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per Acquistare il libro

1/11/2018

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MULO AMAZON
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