(Articolo di Riccardo Rossetti)
Mi limito a contemplare la realtà che mi circonda avvalendomi del mio spirito di osservazione e della mia ironia. La mia opinione è del tutto irrilevante e vale tanto quanto quella di un qualsiasi privato cittadino. Non ho la verità in tasca e del torto o la ragione poco mi importa. Ma, come milanese, il panorama sociale emerso nella nostra città e nel resto d’Italia in questi giorni di virale isteria mi ha lasciato l’amaro in bocca.
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![]() 1946 viaggio di nozze in montagna. Mai stata in montagna. Io che, arrivata dalla città fresca di matrimonio, giravo con i sandali rossi per i sentieri fangosi di Madonna dei Monti. Ti porto da me in Valtellina, mi aveva detto. Era come un pazzo. Il Franco aveva finito la guerra con la faccia rotta da un proiettile, senza più denti e si era fatto quindici esami di ingegneria in un solo anno. Non puoi sposarti finché non sei laureato. Così aveva detto il nonno Alfredo, suo padre. E poi io ero già laureata. Prima di lui. E così il Franco studiava tutta la notte, aiutato da robuste dosi di simpamina. Ricordo che la luce sulla scrivania doveva illuminare solo il rettangolo del libro, non una cosa di più, non un particolare di più. Di notte al buio non si distraeva perché fuori dai limiti del foglio c'era il buio. E poi appena sposati mi porta subito su per la montagna. E io non ci ero mai stata. Vedrai Tin, ti porto a fare le tredici cime. Io lo seguivo con i sandali rossi su per la montagna per arrivare a casa del Don Biagio che ci aspettava, lo seguivo di notte su per il bosco. Il don Biagio che ci viene incontro con la lanterna. I miei piedi nei sandali rossi. Avrei dovuto capirlo. Allora abbiamo fatto la vacanza a Madonna dei Monti. Eravamo saliti in quota, il Franco, il Don Biagio ed io: gli scarponi li avevo finalmente comprati. Stavamo davvero facendo il giro delle tredici cime come si chiamano quelle dal Tresero al Cevedale pernottando per rifugi. Siamo arrivati sotto alla capanna Vioz dove c'è il ghiacciaio che va giù così, dritto così, come uno scivolo, così. Eravamo nella nebbia e ci siamo persi. Non ci si vedeva niente e continuavamo a camminare: invece di andare in su siamo andati verso la lingua di ghiaccio che viene in giù, s'incurva sai il ghiacciaio come fa, lo sai? Che va verso lo strapiombo nella nebbia e noi tutti e tre verso lo strapiombo. E noi che vagavamo senza orientarci più. Eravamo già alle undici di sera quando arriva una tempesta con tuoni e fulmini, e noi eravamo ancora lì, intrappolati da questo ghiaccio, bianco sopra, bianco davanti, bianco anche a guardare al cielo, una roba mai vista. Con il nonno e don Biagio, sì, anche loro non sapevano cosa fare. Uno voleva fare una cosa, l'altro ne voleva fare un'altra. Andiamo verso su, no andiamo da questa parte vedo qualcosa. Qualcosa cosa? Se vedeva gnent! Era agosto, è arrivato il temporale, eravamo nella nuvola, bianca l'aria bianco per terra non ci vedevamo nulla. Abbiamo perso l'orientamento, il Franco ha visto una di quelle casematte della prima guerra mondiale, sai, lì, le casermette. Casermette. Così le chiamavano. Casematte. Sono delle costruzioni di sassi a prova di bomba. Certo ma quella lì, poi, la bomba doveva averla presa e non doveva aver superata la prova: era senza tetto né porta né c'era un po' di legno, che uno potesse immaginarsi un fuoco magari arrangiato. Era notte. Il Franco voleva fermarsi. Don Biagio, no. Don Biagio ha iniziato a urlare, aiutooo, aiutoo... e ha fatto bene lui, senza pudore, cosa facevamo nella casamatta senza tetto sul ghiacciaio tutta una notte? E' freddo il ghiacciaio. Quelli del rifugio sopra sono usciti fuori subito, hanno sentito le urla, sono usciti con le lanterne a petrolio, il Franco e Don Biagio hanno visto le luci e hanno capito che il rifugio era poco più su. Mi hanno presa per mano. E così sono riusciti a raggiungere il rifugio. Io pensavo di morire. E pensare che era il mio viaggio di nozze. Aveva ragione don Biagio, bisognava urlare. |
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