ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO VENTIDUE
Un giorno di litigio grave con il consorte mostra quanto sia impossibile prendere la porta e dirsi: e allora me ne vado! Si diventa delle caricature goffe che nascondono in un piccato silenzio l’inquietante divergenza. Mentre scorro molti testi che devo correggere, mi imbatto nelle riflessioni di una grande poetessa e il prezzo che paga. Un romanzo che avevo già incontrato in adolescenza e che risveglia in me una riflessione sul tema di ospitare nel proprio temperamento aspetti aspri o discordanti, ideali, utopie, cosmi obliqui. Mi viene in mente quel piano del Coin, il terzo mi pare, si chiama “donna conformata” e vi si trovano tailleur, twin set, gonne magliette e abiti di cui non saprei descrivere la singolarità. Penso a me, che non mi riesco a incanalare, termine preso in prestito a una supplente della scuola materna di un bambino che era nella classe di mio figlio: "deve essere ancora incanalato". Mi aveva fatto venire un po’ di brividi. E allora provo un po’ di affetto per questa indole che non sempre ama abbinare i vestiti, che non è andata dall’estetista e si fa la tinta blu da sola, giusto per chiarire che mi pongo un po’ sul limitare della strada, ferma a fare l’autostop. Non so cosa sia la bella apparenza. Finisco di leggere un romanzo per lavoro. Mi lascia con molte domande pesanti. Che prezzo si paga a non essere conformati? Sentirsi a disagio nella vita e molto più disinvolti nella solitudine e non riuscire ad avere sudditanza: un sinonimo di egocentrismo, individualismo prima che di essere un individuo che si riconosce in un sistema di valori univoco e sedimentato? La video-merenda mi fa mettere a terra i fogli il libro e le elucubrazioni a cui mi sto attaccando sempre più, forse per un aristocratico desiderio di lontananza dal crepitare ininterrotto di opinioni, consigli, sfoghi rabbiosi. Sfuggo il social e cado nella mia mente. So che è un pericolo inclinare troppo il contrappeso in una direzione o nell’altra. Ma chi riesce a mantenere sempre la barra dritta? Stanotte i gatti non ci hanno fatto dormire, e così la testa fa male. Sembra che il Signor Cesare Marrali abbia l’invadenza di un piccolo bullo che deve spostare tutti dai letti, vagare con miagolii satanici e azzuffarsi nelle ore piccole: mi ricorda un adolescente irrequieto. . Sentiamo la madre di un compagno di mio figlio, anche lei è in un rifugio fuori città, un posticino piccolo preso in affitto e fuorimano con un giardinetto. Ha deciso di stare ferma dov’è come da consiglio della sua regione. Dopo ormai molti giorni dalla chiusura in quarantena di tutta l’Italia, (da quel giorno ho cominciato a scrivere, non da prima) non ha ancora preso dei vestiti adatti al caldo: ci dice che i siti di acquisto online selezionano i prodotti in beni superficiali ed essenziali e che le mutande per la bambina sono tra i primi, dunque non le arriveranno mai. E che non ci ha pensato, è agitata. Molto tempo dopo scopriremo che arriva un po’ di tutto, giusto se volevi comprare in modo impellente un hang pan (che è un enorme tamburo di rame), forse non ti arriva. Questa merenda di bambini in Zoom procede deliziosamente, tra boccacce, gatti trascinati davanti a schermi e presentati ad altri gatti. Chissà cosa pensano due felini che si fissano su schermo, tenuti e protesi verso l’occhio del computer da sotto le ascelle. Hanno una faccia mesta e fanno meow. diranno, "Anche tu, vero, fratello? Ci tocca!" Realizzo che staremo qui fino all’estate. Non lo hanno detto ma, giuro!, lo sapevo. Lo so. E tutto è molto diverso oggi, chissà come sarà l'state davanti a noi: d’estate normalmente qui c’è il viavai dei trekking, le campane sono onnipresenti, talvolta clacson, l’economia turistica, la voglia di essere energici. Sportivi. Montanari che salgono sbuffando con bambini che litigano e gente del paese con l’ Ape Car, una specie di carriola degli anni ‘70 che desidero con brama infinita, capace di sconfinare oltre l’asfalto e salire su per il sentiero fino alla baita dove munger le vacche. chissà come sarà questa estate. È incredibile: mi ero gettata a capofitto nell’allenamento a guidare l’auto, ho portato la macchina qui sopra in una notte di febbraio, temendo la neve e guidando fino alle due e mezza, orgogliosa di aver finalmente imparato a tenere il volante senza cedere per due ore e mezza. La macchina. Io. Un mio delicatissimo punto debole che tento prontamente di svalicare, alla ricerca di un modo per recuperare quella fase in cui ci si rende svincolati dagli accompagnatori. L’orgoglio di una nuova epoca: un triplo euforico urlo di gioia all’arrivo davanti al cancello e un mieloso discorso di autoincensamento in previsione di un radioso futuro da girovaga. Non ci mettono tutti in quarantena? Ma se il destino voleva che non guidassi e che mi piantassi in casa, avrebbe anche potuto dirmelo! E, di fronte alla chiusura dell’inutile su Amazon, è il momento in cui molti si chiedono quale potrà essere la loro ultima essenziale futilità, l’oggetto superfluo del consumismo, la peggiore malattia di cui soffriamo, verso la quale Antonino Zichichi ci ha già più volte allertato. Io penso a un fucile a pallini di plastica, quello del luna park. Ne abbiamo uno giocattolo, un po’ pesante, va bene per sparare ai barattoli con bossoli di plastica. Ci penso perché mancano le cariche. Sarebbe come sentirsi un personaggio dell’ultima stagione di True detective, però senza colpi veri e senza una storia sviluppata in trame temporalmente in differita. O no? Qui mi devo fermare perché devo seguire per i prossimi giorni con più attenzione gli eventi famigliari. presto sarà mia premura condividere tutti gli altri racconti che ho appuntato.
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