ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO DODICI
È metà marzo, all’incirca. Mi sveglio senza alcun pensiero preciso, dopo un sonno profondissimo e ristoratore ho una gran voglia di una bella spremuta d’arancia; la montagna mi accarezza i sogni, il rumore della stufa a pellet è in sintonia con il mio respiro, scarica legnetti tamburellanti, li incendia, la fiamma emana un tono di luce aranciato che sembra di stare tra gli Hare Krishna, il calore della stufa asciuga l’aria ma avvolge tiepidamente. Con un gesto automatico afferro a tentoni il telefono dal comodino, premo sull’applicazione gialla e ascolto Radio Pop, nel frattempo leggo da dubbi siti notizie che anticipano futuri scenari di selezioni delle merci e blocchi alle vendite di beni superflui di ogni tipo. Sono ancora tranquilla. Penso serafica che riuscirò a fare a meno di ordinare quella resina sintetica che pubblicizzano sui social e che viene usata per fossilizzare fiori trasformandoli in ciondoli trasparenti. Riuscirò anche a privarmi delle gomme da masticare, sorrido beffarda, sono perfettamente in equilibrio: non ho urgenza di impossessarmi di un nuovo paio di ciabatte. Tutto a posto per i beni superflui. Ma… e il settore sali e tabacchi? Mi levo le cuffiette subitaneamente, intercettata da un atroce presentimento: potrebbero finire le sigarette, potrebbero finire le sigarette, ed è arrivato il momento di rivelare che sono una fumatrice notturna maledetta e incognita: quando va via il sole io mi trasformo in un vampiro e aspiro. Non accetto che mi si dica che la quarantena sarà una buona occasione per smettere di fumare, ho trattenuto aggressioni fisiche nei confronti di chi ha provato a dirmelo in questi giorni. Sono già passata alle Iqos, ovvero la cura del tabacco mentolato cotto al vapore, come le verdurine Bonduelle: è il massimo che posso fare in quanto al preservare la mia salute. Secondo una convinzione del tutto paracula che mi sono inventata, la Eets al mentolo può sanare il polmone disinfettandolo dal virus; la mia idea si basa su una precaria deduzione: uno dei pazienti più conciati di questo periodo non era forse un salutista allenato? L’unico contagiato di cui ho conoscenza è uno sportivo con tendenze vegetariane sui sessant’anni. Ho bella e pronta la mia teoria da tossica, concepita a uso e consumo della mia dipendenza fatta lì per lì su due casi e senza approfondimenti: fumare mi tutelerà. Proseguo le letture e mi arresto alcune manciate di minuti su diversi articoli, prestando attenzione ai contenuti che mi saettano davanti agli occhi. Sembra che io non sia l’unica a costruire teorie utilitaristiche basate su pochi dati, guardando ancora in rete leggo molte elaborazioni speculative raccapriccianti, mi preoccupa la miriade di teorie costruite su niente, simili alla mia ma molto più dannose: leggo di alcuni che sono contenti di questo sterminio per via della sovrappopolazione, sono contenti perché ci liberiamo degli anziani, sfiorano degli orridi di pensiero molto vicini all’eugenetica, giustificano la mortalità come una specie di colpa di tutti quegli individui poco attenti, poco furbi, poco cauti o dotati di un fisico debole, affetti da altre complicazioni o vizi malsani. Devo fumare, altrimenti mi spavento. Ma quanto avremo da fare quando rientreremo al lavoro? Dovrò recuperare l’allenamento alle sofferenze della dialettica per far fronte ai testa a testa che inevitabilmente capiteranno anche con questo genere di arguti testardi capaci di vincere un dibattito con il puro approccio competitivo. Magari hanno letto una semplificazione dei trentasei approcci di Schopenhauer per aver sempre ragione o le cronache delle gare di cocciutaggine di Sartre riportate dalla de Beauvoir. Sono stata già traumatizzata a settembre con il ritorno alla realtà dopo la pausa estiva, uscendo pigramente da quel rilassante tempo fermo estivo utile a prendere una giusta distanza da tutte le cose, adesso viro pericolosamente verso una specie di autoisolamento che rifiuta o sfugge gli inviti in videochat. Penso. Rimugino. Intanto, bisogna dire che sono ancora a letto, le coperte sulla testa, più o meno paralizzata, che mio figlio si è piazzato accanto a me abbracciandomi e respirando piano ed è meraviglioso, che la casa ha cominciato ad accendersi e prepararsi alla colazione. Stamattina ho bisogno di andare a fondo, leggere opinioni, cercare un’ancora di salvezza: mi distacco un po’ dai post generati dalla voce del popolo, mi accosto a cercare pareri di intellettuali e scrittori importanti. Accusano l’umanità tutta, che si arrabatta all’inseguimento di una vita di consumi ma non ha coscienza della propria presenza reale nel mondo. Sì. Sembriamo non avere contatti con le cose. Le cose, invece, ci toccano, ci stravolgono, potrebbero rovesciarci e intubarci, le cose. Adesso ne abbiamo contezza. L’abbiamo toccato con mano. Sarà del tutto vero però insistere sul fatto che viviamo increduli di avere una diretta responsabilità sulle sorti di noi stessi e del pianeta? Che siamo rane bollite? E, se fosse vero, era davvero necessario questo virus a farci pensare che lavarsi le mani con il sapone dopo aver pisciato è buona abitudine a prescindere dal coronavirus? Cambieremo? Cosa ci succederà, poi? Riusciremo a mettere in piedi la Ricostruzione, la stessa che stavo portando avanti come reading prima che tutto questo accadesse? Questi pensieri li ho tutti insieme, al risveglio, congiuntamente al timore-panico che chiudano i tabaccai, come quando da piccola tentavo di scrivere le prime poesie con la Olivetti del nonno, avevo tante idee e schiacciavo cinque tasti in un colpo solo. Mi sembra che tutti abbiano un po’ reazioni simili alle mie: all’allarme rispondono precipitandosi in modo allarmato e scomposto. Come per la faccenda della vitamina C. ecco perché ho aperto gli occhi desiderando aranciata. In vendita non ci sono più nemmeno gli spremiagrumi, figurarsi le più note marche di pasticche vitaminiche: è come se tutti si fossero destati con l’impulso di riprendere la vecchia Olivetti del loro nonno e si fossero incastrati contro la striscia di carta carbone, insieme ai tasti, premendo dieci, sette, cinque lettere contemporaneamente. La vendetta si è scatenata, dopo una lunga repressione, il giudizio universale è comparso giocando un po’ a mettere sottosopra i nostri formicai. Se penso alle memorie che ho ascoltato nelle lunghe domeniche a pranzo dai nonni, da dopo la guerra non era mai capitato nulla di così estremo… Il pianeta, nel suo agire incontrollabile, ci stava a guardare, trattenendo un intenso desiderio di rivalsa contro l’uomo. Ci ricorda che non è un concetto così utopistico quello di essere potenzialmente tutti sterminabili. Fino all’estinzione completa. E non è un film o un libro. Succede. E con questo pensiero confuso, tipico sintomo di astinenza da nicotina, decido che oggi sarò insieme alla massa (a debita distanza) e correrò a fare incetta di Eets blu e di questa introvabile vitamina C che la fantomatica dottoressa Cesira consiglia vivamente attraverso il vocale arrivato da più parti tra ieri notte e stamattina. Sarà una bufala, ma io, come tutti gli altri, disciplinata e priva di adeguati mezzi di difesa intellettuali in campo medico, mi pongo come obiettivo della giornata la scorta di arance e tabacchi. Appurato attraverso una telefonata al “mercatone” che le arance, bene rarissimo solo per la giornata di oggi, verranno spedite dalla consegna a domicilio, vengo riportata con violenza al pensiero catastrofico primario. E i tabaccai le faranno le consegne a domicilio? No che non le faranno: devo impugnare il coraggio a quattro mani e andare a prendere le sigarette. Mi serve una mascherina. Non me la sento di rubare per le sigarette l’unica che mia mamma ha di scorta dal kit ospedaliero. Vago per la casa ancora addormentata ma agitata, mi sento come Robinson Crusoe naufrago, affamato, in cerca di una noce di cocco. Devo fumare ma proteggermi dalle microscopiche particelle infette indesiderate per poter così aspirare volontariamente le particelle tossiche che mi sono scelta da sola? Guardo nell’armadio dei prodotti sanitari senza trovare niente di utile, però… qualcosa ci sarebbe: ci sono i Lines Seta Ultra a quattro strati, ma certo! Probabilmente sto delirando per l’assenza di tabacco, comunque mi appiccico un Lines Seta Ultra in faccia, funziona, miglioro il tutto aprendomi le ali sul naso e sul mento. Così incollata esco di casa con un’autocertificazione di uscita per motivi di necessità assoluta, compilata con furia delirante, e mi dirigo, stressata, fino al tabaccaio guidando la macchina che so manovrare a malapena. Scendo come se stessi facendo i primi passi su un pianeta alieno, terrorizzata che un bozzolo di Alien si schiuda accanto a me; ho i guanti da giardinaggio e una sciarpa, naturalmente, perché mi impongo di nascondere l’assorbente con le ali, pura idiozia, anche perché inizia a scollarsi per il vapore del respiro. Troppo tardi, adesso sono nel parcheggio, non posso levarlo e gettarlo, non ci sono nemmeno i cestini della spazzatura. Porto il cappello e gli occhiali da sole: do l’idea di una rapinatrice appena uscita da una rissa da bar. Si aprono le porte a vetri automatiche del negozio, entro e con mia enorme meraviglia vedo che i pacchetti sono lì, a rassicurarmi che nulla cambierà, che non dovrò disintossicarmi. I tabacchi se ne stanno belli ordinati, in fila, su scaffali riforniti. Eroica, indico il bene prezioso di cui necessito a una commessa che pare abituata a vedere in questi giorni illogici gente conciata molto peggio di me. Non dico una parola di più. Solo… “grazie”. Compro quattro pacchettini di Eets blu, pago in contanti. Da fumare prima di dormire, moderatamente, senza esagerare, nascosta nel box. Prima di decretare le contingentazioni di prodotti sul mercato avranno pensato: tra i beni essenziali lasciamo le sigarette, se no si crea lo scompiglio più completo. Le sigarette e la crema anticellulite.
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