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isolamento in montagna 17

4/16/2020

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ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO DICIASSETTE
Mi trasferisco con tutte le cose di cui ho bisogno per lavorare nella stanza grande. È una camera molto calda e inondata di luce, sono sicura che mi farà bene al cervello. (Questo lo dico io, ovvio). Litigo con tutti, esibisco un carattere orrendo, li faccio sfollare. Era assurdo carcerarmi nello sgabuzzino e vedere l’altra stanza utilizzata solo per poggiare i vestiti, nello sgabuzzino ci mettiamo mio marito. Finalmente la luce. Libero la camera di tutte le cose che sostavano poggiate lì, prendo la mia gatta anziana e mi chiudo dentro. A chiave. 
Mi guardo attorno: che meraviglia, è straordinario: dovevo farlo da subito! Davvero, chissà perché ho aspettato tanto e sono rimasta nell’assurdo a lamentarmi della finestra con vista suicidio: qui mi affaccio al terrazzino, posso contemplare la montagna e nessuno rischia di vedermi se non ha un drone. Non ci sono altre abitazioni in questo angolo, sono tutti sotto di noi. Mi levo la maglia e mi espongo tutta nuda alla finestra. L’ho sempre sognato: “Buongiorno, nessun essere umano!”. 
Metto a frutto lo spazio nuovo e il pensiero.
Provo una scandalosa sensazione di libertà. Mi sono fatta strada sgomitando e ne sono felice, è parte della natura umana? Probabilmente sì. È la parte benigna come direbbe Fromm nell’Anatomia della distruttività umana, non ho fatto male a nessuno, ho solo infastidito e spostato tre vestiti. Gli umani sono feroci. Non me la sento di dare la colpa del male solo alla natura che ci sta distruggendo senza sentimento. Sono stronza anche io.
Vedo un camion salire faticosamente la stradina: lo so cos’è arrivano i cibi liofilizzati militari, li avevo ordinati nella notte in cui ho preso il telefono in un folle risveglio, vorrei seppellirmi. Intercetto il pacco appena viene lasciato nella cassetta della posta, li nascondo con profonda vergogna: non devono sapere che sono stata così imbecille. Anche la signora della casa di fronte avrà formulato la sua rimostranza nel constatare l’arrivo del corriere la seconda volta. Anche il corriere avrà sentito l’odore di curry, verdure disidratate e cipolle secche e avrà pensato. Ma questa è scema, ma è molto meglio la bresaola!
Alla fine in questa casa non riesco a nascondere nulla. Fisicamente non saprei come celare un qualunque oggetto, movimento, bisogno, disturbo, emozione, respiro: è un posto grande ma vige una totale assenza di porte, un ravanare in ogni dove, come i topi affamati in una cantina. Apro il pacco. Ci sono una serie di buste leggerissime da riempire di acqua bollente e lasciar cuocere nel loro brodo otto minuti, il tutto è corredato da piccole immagini che spiegano con la massima semplicità la procedura e da una signora felice, che fa una vita alpina indipendente e solitaria. Come sarà il gulasch disidratato? Che sapore ha una patata asciugata polverizzata e aromatizzata al prezzemolo? Avranno mangiato questo i marines in missione contro i talebani? Il pacco contiene anche altri fogli, come un piccolo opuscolo di istruzioni per la perfetta vita da escursionista e tutti gli attrezzi da non farsi mancare mai, mai, mai se si va lontani su per la montagna. O in guerra. O isolati in una pandemia con il supermercato più vicino troppo frequentato per non aver paura. Le mascherine non si trovano e, quando si trovano, non riparano.
Sono fortunata, se tutta la mia famiglia partisse alla riapertura del confinamento, potrei restare qui anche in futuro, senza muovermi per un mese o più, razionandomi le zuppette americane. Isolata. Senza alcun contatto umano. Sparire in un buco. Girare nuda. Cantare male. Battere le mani quando mi pare. Il pensiero mi pare un po’ allettante. 
Ma dubito che la quotidianità da queste parti sia questo fitto sciame di silenzio che c’è oggi. 
Riallacciandomi al giorno precedente mi domando se non dovrei pensare davvero a questa cosa di piantar patate, cipolle, seminare le zucchine che resistono in altura, gli spinaci. E se dovesse crollare l’agroalimentare? Se dovessimo farci la minestra con queste poche cose che vengono su nonostante il freddo e con le mie scarse nozioni su come si deve piantare a milletrecento metri? E chi raccoglierà i pomodori questa stagione? Io dico che non ci saranno più pomodori! Con questa idea stramba, nel pomeriggio, prima di lavorare, infilo gli stivali un po’ sfondati e mi metto a togliere le erbacce dalla parte inutilizzata da anni del piccolo orto. Per fortuna non mi vede nessuno del vicinato: la mia goffa figura di contadina incapace sarebbe oggetto di dileggio pubblico. Gli occhi degli altri mi mettono a disagio ogni volta che si posano su di me, sia che stia facendo qualcosa che so fare, sia che non sappia da che parte iniziare. Mi vedo sottoposta a un interrogatorio del tribunale dei contadini veraci. I fondamenti! Che cos’è la cazzuola? Mi prenda una cazzuola. Ce l’hai la motozappa? Hai tolto i sassi con il setaccio? Mi viene in mente una barzelletta, guardando questo piccolo fazzoletto di terra, una barzelletta brutta, che diceva che manco ce-ceni. 
Imperversano le dirette sui social e le narrazioni teatrali online, un modo per sostituire quella convivenza sociale che si è persa fino a data da definirsi. C’è una scelta molto ampia, sicuramente qualcuno avrà anche pensato di piazzare una telecamera fissa in casa dalla mattina alla sera e mantenere la diretta fino ai primi d’aprile. Un’esperienza che si deve riprendere costantemente, sinceramente io ci andrei a vedere che fa a casa mio cugino, così tanto per ficcanasare. Non è più esclusiva del mercato pornografico offrire stanze a cui collegarsi con un codice o versando denaro. Sono curiosa, è un fenomeno che mi attira e qualche diretta social è anche davvero bella, ma ho già creato una mia routine, ci ho provato e ascolto a fatica Radio Popolare, i diversi telegiornali che sono d’abitudine per i miei genitori e qualche volta Cappato. 
Scarico Zoom, ma non riesco a mettermi in contatto con nessuno. So che alcuni amici si trovano su questa piattaforma per salutarsi alla sera, roba di pochi minuti, non ci riesco, non faccio in tempo, non va la connessione, mi sento idiota, ho i capelli sporchi, ho paura che la video chiamata porti chiunque dentro casa mia e mi fa un certo effetto trovare naturali questi schermi che ci avvicinano le facce a tal punto da visualizzare l’area irregolare dei nei, guardare dentro nelle narici. Scrutare lo spazio tra dente e gengiva. La distanza tra le sopracciglia. Sono sprovveduta: il trucco deve essere far parte del gruppo in modo costante così da non destare troppe curiosità e, soprattutto, tenere le luci soffuse quel tanto da far sembrare la cosa naturale. Lascio perdere, il programma è sul computer ma per ora non sono pronta. Scappo in sala sono tutti a tavola, ho un ottimo umore senza una ragione precisa… a quel punto, prima del “buon appetito” li guardo seduti corrucciati e mi ricordo che qualche manciata di ore fa, per conquistare la stanza bella, ero stata sgradevole con tutti…
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