ISOLAMENTO IN MONTAGNA – GIORNO DICIANNOVE
L’innalzamento delle temperature ci permetterà di godere qualche piccolo effetto positivo del global warming solo da sopra i mille metri: ricordo che nel grande capannone in cui si teneva un dibattito sul tema, ho aperto bene le orecchie quando Mercalli consigliava di vivere più in alto per sfuggire al caldo tropicale, diceva che sarebbe divenuta una necessità e che migreremo tutti in montagna. Ho pensato. Salirò in alto anche io. Adesso che sono qui, lo aspetto anche perché è una persona gradevole, ci mangerei insieme, insomma. Lo aspetto a cena, ma… che vengano solo alcuni. Se no, come facciamo a godere degli spazi sconfinati? La grande metropoli si potrà anche sparpagliare in tante località diverse, per esempio, perché gli altri non possono andare a rinfrescarsi al mare, dove potranno mettere i piedi nell’acqua, tuffarsi nel mare a febbraio dopo l’orario dello smartworking. Alla fine di questa pandemia, distribuiamoci bene! Spero che non si trasformi in città anche il bosco accanto, penso, mentre mi manipolo un bottone della giacchetta con un po’ di sospetto. Chi sta parlando dentro di me? È una voce che mi è arrivata dritta e senza filtro, con lo stampino in serie, un pensiero tremendo: l’illusione di poter godere io sola di qualcosa e precluderlo agli altri. Credevo di essere una persona migliore. Procedendo per libera associazione, sembro quel famoso politico che assicurandoci: andrà tutto bene, l’Italia ce la farà, è poi sparito inabissandosi tra i flutti, portato via da un sottomarino tipo Nautilus del capitano Nemo. Il tempo interno è sempre più strano, a volte si dilata a dismisura, a volte tra pranzo e cena non passa nemmeno un respiro. Anche fuori il tempo varia in una infinità di modi, sembra quel luogo comune sugli inglesi. Chissà come stanno gli inglesi con Boris Johnson? Sono felice di essere in Italia. Per gli inglesi il tempo atmosferico varia di ora in ora ed è sempre un argomento su cui innestare una conversazione ricca di spunti. Forse noi italiani tendiamo a parlare del passato idealizzandolo nostalgocamente. Quando a zappare la terra c’era mio nonno io lo inseguivo con una palettina di plastica. Era tutta rotta e tenuta insieme con lo scotch perché mentre lo imitavo e conficcavo anche io il mio ridicolo badile nella dura terra, si spaccava tutta: i miei potenti mezzi non erano all’altezza e la plastica blu si sfasciava contro il ghiaccio. Sono ancora quella bambina che non ha i potenti mezzi ma che fa la sua buca tenendo insieme un po’ le cose coi cerotti. Noto nell’aria già le prime mosche vive, non del tutto rintronate, il sole non è quello del gelo ventoso, è lucente e perforante, come se potesse cuocermi le ginocchia su una bella pietra ollare. È vero, di notte si gela, ma questa palla di fuoco enorme e infinita ogni tarda mattinata mi abbraccia e mi scalda; in città a malapena sapevo che esistesse e che viaggiasse sulla mia testa. La sua traiettoria era immobile, era più facile dire: che stupidi quelli che credevano che fosse il sole a girare attorno alla terra. Che egocentrici. A viverla così, sempre con il cielo spalancato sopra la testa e tutt’intorno, ci sarebbe da mettere tutto in dubbio: pianto gli spinaci e l’insalata, e lui è alle mie spalle, costruisco una serra, sbaglio, litigo con la cazzuola e lui si è già spostato in cima alla mia nuca, devo rimettermi al lavoro e lui è già scomparso dietro alle cime. Torno in casa pensando di aver vissuto una giornata, con il fiatone e le braccia indolenzite. Pazienza se sono pessima, non leggo le bustine con le istruzioni: quale mese, quale anno, come far germogliare, come far crescere, quando innaffiare. Pazienza. Ora mi rimetto alle occupazioni mondane. Ed è definitivo: è il sole che gravita attorno alla montagna. Io sono rimasta ferma nell’orto tutto il giorno e lui se n’è andato, dunque è dimostrato, non sono io che mi muovo!
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